DISCO DEL GIORNO “I Lemmins vengono definiti in rete slow-core. Il neofita che istintivamente vorrà documentarsi sul genere troverà le comparazioni più disparate, dagli Slint agli Slowdive a Cat Power uscendone fuorviato da idee confuse. Questo ep può definirsi slow core? No, perché dietro questi sorprendenti 21 minuti c’è molto ma molto di più. Oltre alle distorsioni shoegaze, ci sono i ritmi beatlesiani, ci sono gli anni ’90 e il grunge con le sue chitarre sporche, c’è l’indie-pop britannico che negli anni zero ormai ci abbiamo fatto l’abitudine e abbiamo imparato ad amarlo. Il sound proposto dai Lemmins è un’equazione direi perfetta tra questi generi che si annida in maniera quasi amorale tra i neuroni facendoti innamorare di ogni singola traccia. Ogni pezzo è un’entità a parte. Si inizia con “Criminal Dance” e “Onesie”, concentrati di psichedelia rock dal sapore anni ’90, molto più raro da cogliere e molto meno inflazionato del classico e nostalgico prog-rock degli anni ’70. “Sweet Louie” è un prozac di presobenismo che, al ritornello, ti sorprende con degli inaspettati riff che sfiorano i classici giri del grunge vecchia maniera. Il pezzo ponte ideale per approdare alla sporchissima “Anybody knows”, dalla batteria tiratissima contornata da chitarre e feedback cattivi che sfocia in un’irresistibile coda rock’n’roll old school. “Screen” è un gioiello a chiusura di questo sorprendente lavoro; pezzo dalle ritmiche perfette e dalle melodie indie-pop che alleggeriscono la portata dell’intero disco, facendoti venir voglia di inserire il repeat e ricominciare tutto da capo. Lo slow-core è solo un lontano, bellissimo ricordo: questo ep privilegia una ricerca molto più complessa e completa di sonorità ibride a cavallo tra due decenni (anni ’90 e anni ’00). Per i Lemmins ci aspettiamo un futuro interessante: un gruppo che ne avrà da suonare delle belle sia dal vivo che in un prossimo full length.” Carlotta Freni – Rockit.it
“Lemmins Ep è il secondo album della band ligure Lemmins; soffermandoci sull’artwork si può già intuire l’atmosfera generale del lavoro, composto da melodie psichedeliche, sinuose e trascinate che si articolano in un clima pacato e onirico. Apre letteramente le danze Criminal Dance, brano quasi slow core ma intriso di ritmi ipnotici e ripetitivi. Il pezzo è un inno alla proibizione ed alla libertà morale, come si intuisce dalle parole del cantante, “It’s easy to run / Feel your soul / let me be your sin tonight”, parole che dedica alla donna amata. Onesie, il secondo brano, riprende le sonorità rallentate e rarefatte del precedente anche se non tardano ad arrivare ritmi più compatti e calzanti, accompagnati dai consueti riverberi e dalle distorsioni. Riprendendo il tema di Criminal Dance, il protagonista fugge incessantemente, scappa da un passato che forse vuol dimenticare, un passato ormai saturo e marcio; invita il figlio a non percorrere i suoi stessi passi ma, al contrario, a crearsi un futuro migliore … o così ci piace pensare. Sweet Louie si apre a sonorità più allegre e con dei rimandi al genere country e blues-rock; i toni si fanno più decisi ed aspri nel ritornello in cui il cantante si rivolge nuovamente alla donna amata ribadendo il suo desiderio di fuggire e slegarsi da convenzioni sociali: “don’t wanna marry you / but I can’t sleep fine”. E’ in atto un conflitto interiore, confuso ed implacabile come ribadisce Anybody Knows: “there’s nothing that makes you so confused / but now that you’ve lost control / these things are getting cold”. La traccia, in linea con le precedenti, è musicalmente abbastanza piatta, ad eccezione del crescendo finale, dove un assolo della chitarra fa sconfinare la mente in terre sempre più aspre e lontane. Chiude l’album Screen, brano dalle melodie calme e assonnate ma percorso da un immancabile vena amara che scorre fino all’ultima nota e chiude il pezzo con un amletico interrogativo: “what do you see under your grave?” Nel complesso l’album rivela un attento lavoro sul concept di fondo e sulle sonorità che restano stabili e coerenti all’interno delle cinque traccie, regalandoci un viaggio on the road in terre lontane ed incontaminate.” Federica Vismara – InYourEyes Ezine
“Che ignorante che sono! Fino a pochi minuti fa credevo che i lemmings fossero delle creature nate dalla fantasia di un tizio che, non avendo di meglio da fare, un giorno ha deciso di realizzare un videogioco con protagonisti questi strani omini che chissà per quale motivo si spostavano da una parte all’altra di una caverna nei modi più improbabili. Vengo a scoprire invece che esistono, sono dei roditori che quando migrano hanno la propensione al suicidio (ecco perché nel famoso videogioco alla fine di ogni livello ne rimaneva sempre qualcuno che al grido di “Oh no!” si faceva saltare in aria). Non so se i Lemmins di cui si parla in queste righe hanno scelto il nome in omaggio al gioco o ai mammiferi e non credo vogliano spostarsi verso altre zone, quello che so è che sono quattro ragazzi provenienti dal levante ligure alla seconda prova con questa formazione. La band nasce nel 2008 composta da solo due elementi, voce e chitarra, con l’intento di dedicarsi alla musica d’autore. Dopo l’uscita del primo demo Corpse completano la formazione fino ad arrivare all’attuale, cambiando anche il genere che varia dal folk all’indie pop psichedelico dei successivi Bomb and waves e questo Lemmins EP. La prima cosa che salta all’attenzione è l’uso dell’inglese per i loro testi; ormai non è nemmeno più il caso di stare a discutere sul fatto se sia meglio cantare in una lingua piuttosto che in un’altra, quello che ci tengo a sottolineare è come questa lingua viene usata: la pronuncia è buona e anche se le tematiche sono già state affrontate innumerevoli volte non manca il piacere di ascoltarle bene. Oltre a ciò è curata anche la parte strumentale delle canzoni: come nel caso dei testi niente di originale, ma le sonorità proposte spaziano dal beat degli anni ’60 alla psichedelia attuale, così che è possibile sentire echi di Pink Floyd dell’epoca barrettiana o di Velvet Underground insieme ai più recenti Tame Impala, tutto nello stesso brano. Non mancano comunque le origini folk della band (“Sweet Louie” ad esempio). Solo cinque le tracce che compongono questo ep prodotto da Marsiglia Records, ma la cura nella realizzazione (ottimi i suoni del disco, complice anche il lavoro dello studio C27 che ha registrato il tutto con un 16 tracce analogico) lascia pensare che il prossimo lavoro sarà decisamente più lungo. Senza dubbio fino ad allora i Lemmins potranno migliorare ancora, ma quello che mi auguro è che mantengano lo stesso spirito vintage di adesso: non artefatto, semplice, come se si comprasse un amplificatore costruito negli anni sessanta e si scoprisse con gioia che è ancora perfettamente funzionante. Probabilmente gli stessi motivi che hanno permesso loro di essere citati nell’ultimo numero della rubrica “Dieci piccoli italiani” di Ondarock.” Alessandro Adesso – Metrodora
“La nuova psichedelia abita anche sulla riviera ligure, da quando i Lemmins hanno cominciato le loro attività, sancite con questo seconda uscita omonima (che quindi “odora” di esordio). Danno il meglio nei brani più dinamici, come nella chiusura di “Screen”, dalle aperture melodiche alla Real Estate ma con atmosfere che richiamano gli Spiritualized più narcolettici. La band di Jason Pierce sembra la prima e più diretta ispiratrice anche dell’apertura, “Criminal Dance”, proposta del tutto in linea col brit-rock più psichedelico e irriverente degli anni 90. La psichedelia dei Beatles viene così aggiornata ma senza le costruzioni intellettuali dei Tame Impala, quanto con una sana attitudine revivalista (“Onesie”). Attitudine che forse viene un po’ “stiracchiata” agli estremi nel rauco garage-pub smargiasso di “Sweet Louie”, mentre “Anybody Knows” rappresenta decisamente la traccia più debole e abbozzata delle cinque presentate. Da seguire, però, per le prossime uscite. 6,5/10″ Lorenzo Righetto – OndaRock
“Soddisfazioni in vista dal Levante ligure. È uscito lo scorso dicembre l’EP omonimo dei Lemmins, cinque brani genuinamente registrati con un analogico a 16 tracce. Una commistione forte ma niente affatto forzata di generi e stili, che si richiamano alle atmosfere Sixties e ai Beatles, ma non di meno alla psichedelia vecchia maniera, al rock’n’roll più sperticato, all’alternative rock più in voga in questo nuovo secolo, passando per gli anni ’90 e affondandoci sino alle ginocchia, senza perdere mai di vista il groove folk che caratterizza le loro scelte sin dagli esordi, come duo, nel 2008. Col risultato di dar vita ad un gioiellino non privo della sua originalità, certamente dalla grande carica e dal forte impatto. Subito recepito quasi unanimemente in questi termini, in molti ascoltatori si è creata l’aspettativa di un roseo prosieguo per la band, che in questo momento si può dire si trovi ad un punto cruciale di autodeterminazione, alla prova del nove. Questo EP, uscito per Marsiglia Record, a dispetto della vena riduttiva che spesso accompagna il termine, contiene tutti i germi di un potenziale exploit, perché no, anche internazionale. L’attitudine vintage nei confronti della composizione, la capacità di sposare in modo omogeneo fra loro dinamismo, distorsioni e antintellettualismo, se accompagnate da un adeguato tenore scenico durante i live, potrà garantire al quartetto un apprezzamento molto ampio.” Giulia Barbieri – Shiver
“Arrivano dal levante ligure i quattro ragazzi che compongono i Lemming e che, con questo disco, approdano al loro secondo lavoro dopo un esordio nel 2008 come duo, delineando una maggiore linea psych. Probabilmente, la scelta di intitolarlo in maniera omonima sta anche a delineare una sorta di nuovo inizio che qui trova atmosfere rallentate e rarefatte fatte di ritmiche lisergiche, come nella iniziale Criminal dance e che ritroviamo nella successiva Onesie, salvo poi innestare la marcia del folk con la ballata di Sweet Louie. Con Anybody knows la strada si fa più tortuosa, con un crescendo ritmico e di intensità emotiva davvero notevole per concludersi con l’episodio più calmo del disco, Screen, quasi a dare un momento di tranquillità interiore dopo le visionarietà dei brani precedenti e con un finale concentrico fino allo stop improvviso. Un lavoro molto ben curato nei suoni come nell’artwork, che è figlio della psichedelica anni ’90 fino ad arrivare a quella odierna oggetto di una massiccia rivisitazione. Un tracciato che in soli ventuno minuti fa intravvedere potenzialità davvero interessanti anche per il prossimo lavoro sulla lunga distanza. L’EP ha tutte le carte in regola per essere apprezzato da un pubblico più ampio di quello strettamente “di genere”” Ubaldo Tarantino – Distorsioni